Elementi storici di Camponogara


FEDERICO MANFREDINI, BREVE STORIA

con la collaborazione di Alessandro Compagno.

Da una sua ricerca redatta durante gli studi presso la scuola media Antonio Gramsci di Camponogara.

 

Federico Manfredini nacque il 24 agosto 1743 a Rovigo.

Il padre, Giuseppe Benedetto Manfredini, lavorava alle dipendenze della Repubblica Serenissima come agente, occupandosi di verificare i confini con il Ferrarese.

Federico manifestò un ingegno particolare fin da bambino con un’intelligenza viva. Federico aveva già due sorelle ed un fratello, il padre dovette – così – pensare ad un futuro per Federico.

Il giovane Manfredini era ispirato dalla vita militare, fu così che il padre decise per lui un percorso di alcuni anni presso un precettore, l’abate Girolamo Silvestri.

Al termine di tale percorso federico frequenta l’Accademia Militare di Modena, non trovandosi a suo agio dal momento che in alcuni aspetti si dimostrava superiore agli stessi insegnanti.

A 15 anni Federico si occupa già di filosofica, di trattati e di matematica. Per questo motivo Federico si scontrò con il padre che pensò di inviare il figlio all’Accademia Imperiale di Firenze.

Era un istituto duro ed impegnativo, ma Federico era lì a suo agio e, in brevissimo tempo, condusse una carriera piuttosto interessante. Completati gli studi fu inviato a Vienna perché l’imperatrice Maria Teresa d’Austria lo aveva notato e desiderava farlo emergere.

L’Imperatore d’Austria, Giuseppe II, pur dopo due matrimoni, non riuscì ad avere un discendente. Fu così che egli raccomandò al proprio fratello, il Granduca di Toscana Pietro Leopoldo, di cercare tra i propri 5 figli quello che poteva diventare il suo successore al trono.

Con lo scopo di educare questi piccoli Granduchi, era necessario individuare una persona ineccepibile.

Venne notato, appunto, Federico Manfredini perciò Giuseppe II scrisse al fratello indicandogli di aver notato questo ragazzo, un suddito di origini venete veneto. All’epoca l’Austria e la Repubblica Serenissima non erano in buoni rapporti, pertanto Federico doveva essere vigilato con attenzione.

Nonostante ciò egli era considerato un ragazzo in gamba e, soprattutto, non aveva famiglia (peculiarità che ogni educatore dei figli di un imperatore doveva avere).

Allora Federico Manfredini venne incaricato ufficialmente del ruolo di educatore dei figli di Pietro Leopoldo: Francesco, colui che diventerà il successore di Giuseppe II, e Ferdinando che diventerà anche lui Granduca di Toscana.

Avendo concluso brillantemente quest’incarico il marchese divenne Primo Ministro del Granducato di Toscana. Fu Manfredini a trattare con Napoleone dal momento che quest’ultimo, nel suo percorso espansionistico in Europa, aveva deciso di conquistare anche la Toscana.

Manfredini, perciò, fu un buon intermediario per rallentare i tempi della discesa di Napoleone il quale, comunque, aveva già chiaro il suo progetto.

Resta il fatto che Federico mantenne un buon rapporto con Napoleone, anche di stima. Sono state rinvenute lettere, anche da Giacomo Giantin (vedi la sezione “I personaggi”), scritte da Buonaparte per Federico Manfredini. Sono conservate nel seminario di Padova, ma, prima della morte di Federico, erano conservate a Campoverardo.

Manfredini fu visto con circospezione sia dagli Austriaci – a motivo del rapporto con Napoleone – e sia da Buonaparte in quanto il primo era alle dipendenze della casa Asburgica.

Tale sua condizione portò all’esilio di Manfredini a Messina perché considerato un personaggio scomodo e pericoloso.

La storia, poi, portò al trasferimento del Granduca di Toscana a Vienna e, con ciò, Francesi occuparono Firenze.

In esilio Manfredini fu molto scosso perché si sentiva tradito da tutti. Al termine del suo esilio tutti compresero che nulla poteva essere imputato a Federico, pertanto venne riabilitato ed inviato a Salisburgo.

Agli inizi dell’800 Manfredini decise di ritirarsi a Padova, dove possedeva un grande palazzo in Prato della Valle.

Lì c’erano i suoi due nipoti, Giuseppe e Federico, figli del fratello Luigi. Giuseppe era uno scapestrato e finì anche in galera perché a Treviso malmenò un ufficiale. In pratica Giuseppe fu la “pecora nera” della famiglia. Federico, circondato da persone di estrema nobiltà, si vergogna di lui, perciò decise di andar via da Padova. Ciò avvenne in seguito a una lettera scritta per l’abate Moschini dove era indicato che non poteva più tollerare i comportamenti di suo nipote, tali da infangare il loro buon della famiglia.

Fu così che federico decise di trovare in un paese sperduto, dove potesse rilassare lo spirito ed occuparsi di ciò che più amava: l’arte.

Federico Manfredini lavorò con Antonio Canova e finanziò una sua opera per i Frari a Venezia. Egli trovò un’ottima occasione immobiliare a Campoverardo.

Infatti l’ultimo esponente della famiglia dei Canal da Venezia, Girolamo, era indebitato in una maniera incalcolabile. Questi decise, allora, di vendere una tenuta di Campoverardo. L’affare era alla portata solo di persone molto benestanti.

Fu Federico Manfredini ad acquistare la tenuta. Nel testamento era citata questa tenuta oltre ad alcuni campi acquistati in seguito a Premaore, Sambruson e Piove di Sacco.

Federico acquistò la tenuta nel 1811, ma venne ad abitarla solo nel 1813 quando aveva circa 70 anni d’età.

Pochissimi studiosi si soffermano a studiare il luogo in cui il marchese trascorse i suoi ultimi anni di vita.

Delle indagini molto accurate, però, hanno dimostrato che, quando Manfredini arrivò a Campoverardo, iniziò molte opere di grande generosità per il paese e per i cittadini.

La sua prima preoccupazione fu quella di aprire una scuola perché vedeva bambini di 5,6 anni lavorare nei campi. Quindi decise di far lavorare gli adulti nelle sue tenute e fondò una scuola per i bambini dove egli insegnò.

Quando il Brenta ha straripò per 2 volte, fu lui ad accogliere tutti nella sua villa. La sua vita si spense il 2 settembre 1829. Dopo la sua morte ci fu un “boom” di nascite con il nome di Federico.

Tutti i suoi averi andarono al nipote Giuseppe che nel frattempo non era per nulla cambiato.

Si narra che Federico sia stato sepolto presso la Chiesa di Campoverardo con la sua spada d’oro.

Invero il dipinto situato presso la fonte battesimale della Chiesa di Campoverardo, ritrae Federico Manfredini di spalle, spogliato di tutti gli elementi, insegne, titoli della sua storia istituzionale, militare, nobiliare.

Federico donò a Campoverardo l’attuale canonica. Una targa di marmo, sopra la porta della canonica, certifica tale opera di magnanimità.


PROZZOLO, LA LEGGENDA DELLA RAGAZZA SULLA TORRE. SPETTACOLO CON TESTI PRODOTTI DALLA PRO LOCO DI CAMPONOGARA E PRESENTATO AL TEATRO DARIO FO ASSIEME AI RAGAZZI DELLE MEDIE

Voglio parlarvi di Camponogara. Anche Camponogara ha avuto le sue leggende ed i suoi testimoni importanti, degni di grande ammirazione, significativi come lo è stato chi è riuscito ad entrare nei libri di storia. Voglio raccontarvi la vicenda di un castello, un tempo costruito proprio a Prozzolo. Per un momento la storia che vi racconto mi ricorda quella di Cenerentola. Voglio così fare un gioco con voi e con la fantasia. Già vedo questo castello come fosse la mia scuola, vedo i personaggi che lo hanno abitato prendere per un momento vita, qui, oggi.

E allora cominciamo.

Bartolomeo de Vetrari – o de Rossi – arricchitosi nell’atre vetraria, si ritirò dal commercio e si costruì una casa a Brasciolo (sì, la nostra attuale Prozzolo) verso la metà del 1200. Nel 1270 fu mandato dai padovani a ricoprire il ruolo di podestà di Vicenza. Durante la sua podesteria strinse affettuosa amicizia con gli Scaligeri, amicizia ed alleanza che si rinsaldò poi con un matrimonio, ma fu fonte di infiniti guai per la famiglia.

Pietro de Rossi, egregio cittadino e valoroso soldato, famigliare di Ezzelino da Romano, fabbricò a Brazolo ( la nostra Prozzolo, appunto) un castello munitissimo di torri, mura e fosse. Ma, sospettato fautore degli Scaligeri, con cui continuava a corrispondere, dovette rovinare il suo castello per ordine espresso dei Padovani. Questo atto di rigore eccitò la collera di Solimano de Rossi.

Voglio ricordare Pietro de Rossi in questo modo, come un gran lavoratore, però poco compreso. Lui merita tutto il nostro rispetto, una figura che mi ricorda molto il nostro bidello, qui a scuola. Anche lui un gran lavoratore, spesso poco compreso.

Eravamo rimasti a Solimano de Rossi. Lui ottenne di restaurare la rocca di Pietro e la rese più munita di prima, la dotò di opere di difesa e offesa formidabili, fra cui profondi fossi ed un sotterraeo. Vi andò ad abitare, preferendolo alla città, forse perché gli permetteva di tener vivi i rapporti con Cangrande della Scala, veronese. Dentro al castello di Solimano viveva anche una giovane ragazza, la figlia del signore. La sua storia è poco conosciuta, o quasi sconosciuta a Camponogara. Eppure avvenne proprio qui. Proprio lei viveva serena nelle sue stanze, educata secondo la tradizione del tempo. La sua storia, però, è un po’ triste, assomiglia a quella di cenerentola. E così voglio chiamare la nostra cenerentola “Cinderella”, sarà la nostra cenerentola camponogarese, quella dell’antico castello di Brazolo, Prozzolo. Già mi vengono in mente le danze ed i balli all’interno delle stanze del castello e lei, come una giovane principessa, che indossa abiti bellissimi e balla nella libertà e nella bellezza delle nostre campagne.

Durante la sua permanenza a Brazolo (la nostra Prozzolo) Solimano s’accorse che la figlia s’era innamorata del maestro dei nipoti. Coltigli un giorno in flagrante, maltrattò la figlia e così pure il maestro. Ma la leggenda dice che Solimano si spinse oltre, fino ad uccidere entrambi. Tutto questo mi ricorda la vicenda di Cenerentola, e la mia mente ritorna per un attimo ad un passato più recente. Mi viene in mente un altro grande precettore di Camponogara, il marchese Federico Mafredini, che visse nella villa oggi abitata dalla famiglia Giantin a Campoverardo. Giacomo Giantin, scomparso pochi anni fa, aveva scritto un libro sulla vita e le opere del marchese. Il Manfredini fu amico di Napoleone Buonaparte, precettore dei figli di Leopoldo di Toscana, comandate di una parte dell’esercito asburgico d’Austria. Chissà come, dentro il suo castello, avrà cantato e ballato in libertà, prima di essere perseguitata la nostra Cinderella. La sua, come quella di molte principesse, è una storia triste, ed il suo pianto, per un momento, diventa anche il nostro.

Le storie che vi racconto sono tutte vere. Sono raccontate da Scardone nel XV secolo, il quale però lascia la storia della nostra Cinderella alla leggenda popolare. Scardone ci racconta tutto questo nella sua opera “Famiglie illustri padovane”. Lui fu uno storico. Anche Camponogara ebbe un grande uomo che molto studiò in merito alla storia del nostro pese. A lui è dedicata la nostra biblioteca. Si chiamava Danilo Vanzan, storico archivista del nostro Comune, proprio lui compì molti studi leggendo testi e documenti dall’archivio comunale. Oggi una targa dedicata a Danilo Vanzan è stata appesa all’ingresso della nostra biblioteca. Proprio la biblioteca è per noi un luogo importante, dove possiamo trascorrere dei pomeriggi di studio, occasioni per crescere e per rinsaldare le nostre amicizie; anche se a volte l’allegria tra di noi prende il sopravvento sullo studio e la stanza quasi si anima come una festa latina tra mille colori e sorrisi.

Ma torniamo al nostro Solimano. La sciagura famigliare non lo abbatté, egli cadde, però, in sospetto dei Padovani come amico di Cangrande. Egli si dichiarò, così, alleato di Cangrande e si chiuse nel catello che fu poi assediato dalle milizie di Padova. Anche questo episodio mi fa venire in mente un altro assedio subito da noi camponogaresi, stavolta, però in epoca fascista, quando le milizie del Duce sequestrarono tutti i fedeli in chiesa a Premaore. Era l’epoca della lotta antifascista, quella combattuta anche dalla brigata Guido Negri d’ispirazione cattolica. Tra coloro che si spesero per la libertà ci fu anche lo storico medico camponogarese, Ermes Parolini. Forse durante l’assedio Solimano fece costruire il sotterrareo che è esistito fino a poco tempo fa e che sboccava a Camponogara. Forse lo stratagemma fu scoperto e vennero a mancare gli aiuti esterni, mentre le lotta attorno al castello ferveva accanita. Alla fine il castello fu distrutto nel 1313. Chissà come si conducevano le battaglie all’epoca, me le immagino nel fervore cavalleresco con abiti sontuosi ed armature lucenti. Quasi come una grande festa di carnevale dove, anziché lo scherzo, dominava l’inimicizia. Io però voglio ricordarmi così la vita in quel costello ormai distrutto, immaginarmi le feste allegre che un tempo si celebravano.

La famiglia Rossi de Vetrari, o dei Solomoni, che era ormai conosciuta con il solo nome di Brazolo, non era destinata a perire. Il castello fu ricostruito sebbene più come un palazzo che come una fortezza per non attirare più l’ira dei Carraresi padovani. L’amicizia con gli scaligeri fu conservata e Cangrande, forse per riparare al danno, sia pure involontariamente recato ad una famiglia a lui tanto devota, diede in sposa a Prosdocimo di Brazolo la figlia Margherita con la quale la madre Bianca delle Passioni corrispondeva affettuosamente da Paluello dove risiedeva. Matrimonio che solo basterebbe a render chiara una famiglia, ma la famiglia dei Brazolo ha altri titoli di nobiltà. Il figlio di Margherita, Bartolomeo, fu attivo uomo politico, fu podestà ad Este nel 1381, a Monselice nel 1385 dove si distinse tanto da meritare la podesteria di Piove di Sacco nel 1386 e morì ancor giovane nel 1399. Uno dei suoi figli, Prosdocimo, è uno dei dodici nobili padovani che reggono il baldacchino dell’imperatore Roberto il 18 novembre 1401. Nel 1410 è vicario a Conselve, nel 1415 ad Anguillara e nel 1420 fa parte dell’assemblea costituente della riforma della legislazione padovana, carica che dimostra la sua competenza in materia giuridica. Questi principi che hanno amato giovani donne ed onorato Camponogara mi fanno riflettere sulla figura stessa dell’essere un principe, e mi rimandano alla memoria ancora una volta la favola di cenerentola e della nostra “Cinderella”.

I Brazolo, furono tutte persone di impegno sociale e testimoni importanti.

Francesco ricevette il dottorato dalle mani di Stefano Da Carrara in cattedrale;

Francesco I insegnò diritto canonico,

Francesco II anch’egli insegnò diritto canonico

Lionello fu promotore di giurisprudenza nel 1477

Ludovico fu professore di diritto canonico

Girolamo fu insegnante di medicina nel 1574

Paolo succedette alla lettura di diritto canonico

Giulio fu giureconsulto e divenne podestà della Repubblica veneta,

Antonio e Girolamo furono insegnanti.

I Brazolo furono creati conti nel 1674 da Cristina di Svezia.

La famiglia dei Brazolo assunse poi il nome di Brazolo Milizia in seguito all’eredità di Feo Milizia. Il generale Brazolo Milizia morì nel 1928, la famiglia abita a Tribano.

Una Camponogara davvero incredibili che ha segnato la nostra storia in un abbraccio tra Padova, Venezia e Verona, quasi come l’abbraccio tra il principe e la ragazza, tra la nostra Cinderella ed il suo amato. Ed allora vogliamo chiudere  così la nostra storia sulle antiche leggende di Camponogara, con una canzone che celebra l’amore e la concordia, come l’abbraccio tra il principe e la ragazza.

 


ANTICO ORATORIO DI CA’ DIEDO

L’oratorio è stato restaurato nel 1996 ed è dedicato a San Marco Evangelista.

Prima della costruzione della chiesa di Calcroci era il luogo ove venivano celebrate le Sante Messe in paese

ca diedo


Curiosando in archivio. Campoverardo: il paese, la chiesa, il campanile.

Di Emanuele Compagno

storia di campoverardo

Curiosando in archivio, è questo il titolo del primo articolo in cui don Danilo Isatti, parroco di Campoverardo, iniziava il nostro giornale della sagra nel 1988. Ci racconta di come nacque l’attuale campanile, fu ricostruito a seguito di un fulmine che abbatté quello precedente nel dicembre 1769. Forse, però, la storia scritta negli archivi era frutto di fantasia. Dopo una serie di resistenze tra parrocchiani e l’allora parroco, don Antonio Baroni, nel 1775 fu realizzata l’attuale struttura. Il nome del nostro paese nasce da Campus Viridis, campo verde, per altri il nome deriva da campo di Berardo, un condottiero dell’epoca. Della nostra chiesa vi è traccia già nel 1181 e, quindi, è ancora più antica. In zona Castellaro vi era un convento benedettino per la bonifica dell’area, probabilmente ove oggi sorge via Santi Quirici. Via Crociata, poi, è una strada antica che conduceva alla laguna tanto che durante la seconda guerra mondiale fu utilizzata per fa transitare i carri militari per una settimana intera. Fu forse per la vicinanza alla laguna, e per la necessità di presidiare il nostro territorio, che la Repubblica Serenissima si accollò molti dei costi di mantenimento del convento benedettino. Dopo che i Carraresi, signori di Padova, persero la guerra con Venezia, i monaci si trasferirono a Venezia. Nel giornalino della sagra del 1996 troviamo una bella descrizione della nostra chiesa. Il primo restauro fu della prima metà del ‘500, datato sull’angolo della porta (ora è sotto l’intonaco) entrando dalla sacrestia. La struttura della chiesa fu allungata verso l’attuale via Crociata in quanto la popolazione aumentava. Fu costruita in quell’epoca anche la tomba che c’è sotto l’altare. Oggi ospita don Michelangelo Lievore (per cinquant’anni parroco qui), dopo il restauro del 1990. Proprio l’altare è opera più recente e lo si capisce guardando il taglio, il colore e la composizione dei marmi. Le statue di Sant’Antonio e San Francesco, così come la pala della crocifissione, giunsero a Campoverardo da Venezia intorno alla fine del 1700. La parte maschile della famiglia religiosa francescana, nel corso dei secoli, si è suddivisa in tre rami: i minori conventuali (quelli della Basilica del Santo), i minori cappuccini (quelli di San Leopoldo) e i minori francescani. Sant’Antonio ha l’abito dei frati minori conventuali, tiene in mano il giglio, simbolo di purezza ed il libro delle Scritture tanto che viene detto “doctor evangelicus”. Stranamente il suo cingolo ha solo due nodi e non tre, come sarebbero i voti dei religiosi. San Francesco, invece, si presenta in modo dinamico, sembra voler camminare come ad indicare che il cristiano è colui che cammina verso la luce della Parola con lo sguardo fisso su Gesù e Maria. Nella pala notiamo San Nicolà o San Nicola, lo si capisce dall’abito che indossa, il piviale e la stola cadente. Il pastorale e la mitria, insegne episcopali, sono deposti ai piedi della croce e non si notano a motivo della presenza del tabernacolo. La sua posa esprime una partecipazione totale alla crocifissione, la mono sinistra indica il crocifisso e la destra è posata sul cuore, in segno di sofferenza intima. La donna inginocchiata è la Maddalena. Qual è la città raffigurata sullo sfondo? Gerusalemme o forse la città di Mira in Turchia dove visse San Nicola, santo caro ai Veneziani?